14 Maggio 2010
Troppo Ogm nell'alimentazione del bestiame. Subito un Piano nazionale di proteine vegetali per tagliare l'import di mais e soia biotech e garantire la qualità degli allevamenti e le tavole degli italiani
I nostri allevamenti di bestiame (oltre 300 mila stalle) sono invasi da mangime Ogm di provenienza estera. Più di quattro milioni di tonnellate di soia (un quarto del fabbisogno nazionale) e due milioni di tonnellate di mais biotech (in pratica, oltre il 25 per cento del totale) entrano nell'alimentazione degli animali allevati in Italia. Una cifra destinata a raddoppiare nel giro di 4-5 anni. E così, inevitabilmente, prodotti (carne, latte e formaggi) con presenza di organismi geneticamente modificati finiscono sulle tavole degli italiani. Senza interventi mirati, entro un quinquennio c'è, poi, il rischio che la disponibilità di mais Ogm-free a livello internazionale, compreso quello prodotto nel nostro Paese, si riduca di circa il 70 per cento. E questo significa che ne circoleranno meno di 26 milioni di tonnellate, quando già adesso il doppio non è sufficiente a soddisfare le esigenze degli allevatori.
Occorre, quindi, predisporre e varare al più presto un Piano nazionale di proteine vegetali, utilizzando, eventualmente, anche territori del Demanio, per incrementare la coltivazione di soia italiana, di piselli, fave, favini e sviluppando, contemporaneamente, la produzione di mais, in modo da garantire uno sviluppo di una zootecnica realmente sostenibile e di assicurare alimenti di qualità e privi di biotech.
E' quanto sostenuto oggi dai presidenti della Cia-Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi e dei Vas (Verdi ambiente e società) Guido Pollice alla presentazione della quinta giornata "Mangiasano" che si svolgerà sabato 22 maggio con centinaia di iniziative in tutte le Regioni.
La manifestazione, che si tiene nell'Anno internazionale della biodiversità indetto dall'Assemblea generale delle Nazione Unite, vuole essere, quindi, l'occasione per riaffermare l'esigenza di difendere e valorizzare l'agricoltura italiana, inimitabile, tipica, diversificata, legata al territorio, sicura e di qualità, che non ha certo bisogno di Ogm, così come la zootecnia.
Si è mai pensato -hanno sottolineato Politi e Pollice.- che fine farebbero i prodotti tipici e di qualità delle nostre terre con le coltivazioni Ogm. Prodotti che sono frutto di una biodiversità eccezionale che contraddistingue e rende unica l'agricoltura italiana. Con il biotech c'è, infatti, il fondato pericolo di far scomparire dalle tavole una varietà straordinaria di produzioni d'eccellenza. Rischiamo di non poter mangiare e assaporare, ad esempio, la mela annurca, le pesche di Romagna, il pomodoro Pachino e San Marzano, le nocciole del Piemonte, le arance di Ribera, le clementine di Calabria, la pasta fatta con grano duro italiano, il Brunello di Montalcino, il Dolcetto d'Alba, l'Amarone, il Primitivo di Manduria, i tantissimi oli d'oliva di cui sono ricche le nostre campagne. Sarebbe, insomma, la morte di un mondo agricolo che ha permesso all'agroalimentare "made in Italy" di conquistare i mercati internazionali.
Ecco perché vogliamo -hanno aggiunto i presidenti di Cia e Vas- fare fronte contro gli Ogm e impedire che anche il nostro grande e straordinario patrimonio zootecnico continui ad essere contaminato. D'altra parte, l'agricoltura italiana è riuscita a tutelare la sua inimitabile varietà sia grazie all'azione svolta dai produttori che a quella della scienza che, però, non ha avuto certo bisogno degli Ogm per andare avanti. Il transgenico porta unicamente all'appiattimento produttivo, all'omologazione 'tout court', alla distruzione della biodiversità. E tutto ciò significa consegnare agricoltura e zootecnia nelle mani delle multinazionali che pensano soltanto al "business" e non certo alla tutela delle tradizioni secolari, della tipicità e della qualità delle produzioni agricole nazionali.
Da qui l'impellente esigenza di un Piano nazionale di proteine vegetali. Già molte regioni hanno predisposto specifici programmi e stanziato anche finanziamenti in questa direzione. Occorrerebbe triplicare gli 864 mila ettari oggi destinati, nel nostro Paese, alla produzione di colture proteiche (1.050.000 tonnellate di erba medica, 553.000 tonnellate di soia e 56.000 tonnellate di pisello proteico e favino) per soddisfare il fabbisogno degli allevamenti nostrani. Solo per la soia bisognerebbe arrivare a circa 600 mila ettari. Nello stesso tempo è necessario allestire strutture logistiche e di trasporto (ad esempio navi, silos, magazzini) destinate esclusivamente a tali produzioni Ogm-free, in modo da evitare qualisasi tipo di contaminazione da biotech. Un Piano, quindi, che richiede investimenti concreti, ma che garantisce la qualità del nostro bestiame e soprattutto le tavole degli italiani.
E', d'altronde, inammissibile che il proteico fornito agli allevamenti italiani -hanno rimarcato Politi e Pollice- sia per circa il 30 per cento soia di importazione, quasi tutta geneticamente modificata, in quanto più economica.
Da rilevare in questo senso che in Italia, complice la caduta dei prezzi di listino del mais, in molte zone del Nord, la produzione di soia, ovviamente libera da Ogm, è raddoppiata con prezzi di mercato interessanti e convenienti, anche se la produzione è rimasta molto al di sotto dei picchi registrati nel 2002. Mentre, sempre in Italia, paese leader delle grandi Dop della zootecnia, si sono persi in pochi anni 3 milioni di tonnellate di ottimo mais non biotech in grado di fornire agli allevatori un prodotto di qualità. E, invece, tonnellate di mangime con Dna modificato entrano, ovviamente, in regola con le norme Ue vigenti, ogni giorno in Italia da Argentina, Brasile e Stati Uniti.
Quindi, senza un Piano nazionale di proteine vegetali e un deciso aumento della produzione di mais, sarà difficile -hanno affermato i presidenti della Cia e dei Vas- reggere la pressione delle grandi 'lobby' del biotech sugli allevatori, sempre più stretti nella morsa degli aumenti dei costi di produzione ed il crollo dei prezzi sui campi.
Comunque, nonostante una politica agricola poco efficace e l'assenza di un Piano proteico, non sono poche le realtà che iniziano a produrre proteico locale con buona redditività. L'aumento di produzione di soia al Nord è di buon auspicio, cosi come le interessanti e ottime produzioni, in Italia meridionale e senza traccia di micotossine, di orzo, avena, favino e pisello proteico. Anche se al momento i numeri sono ancora scarsi.
Se si seguisse tale direzione -hanno avvertito Politi e Pollice- si valorizzerebbe la nostra zootecnia di qualità, mentre si taglierebbe di netto (oltre il 70 per cento) l'importazione di mangime Ogm che incide, attualmente, per il 10 per cento sulla dieta dei suini e addirittura il triplo per i bovini.
Nel corso della conferenza stampa è stato rilevato che oltre l'85 per cento dei mangimi nell'Unione europea contengono biotech e la normativa comunitaria prevede una soglia di contaminazione inevitabile o di tolleranza accidentale dello 0,9 per cento, limite per il quale non è prevista l'indicazione in etichetta.
Basta solo ricordare che il 25 per cento del mangime destinato agli allevamenti nazionali proviene dalle coltivazioni di soia Ogm di Stati Uniti, Argentina e Brasile. A questo si deve aggiungere che, secondo recenti studi, il commercio mondiale di mais vedrà nei prossimi anni una quota crescente di prodotto Ogm, che potrebbe giungere fino all'86 per cento del totale.
E l'invasione di biotech rischia così di dilagare a livello internazionale. Il Brasile -è stato rilevato- ha destinato 21 milioni di ettari a coltivazioni Ogm, un terzo rispetto ai 64 milioni degli Stati Uniti. La Cina ha appena cominciato, ma è già a 3,7 milioni di ettari. L'India, a sua volta, ha raggiunto quota 8 milioni di ettari.
La produzione Ogm sta, quindi, salendo velocemente e gli Usa sono il paese con la maggiore produzione di transgenico; nel 2009 le varietà di grano Ogm erano circa il 90 per cento, di mais l'85 per cento, di cotone l'88 per cento, di soia il 91 per cento, di canna da zucchero il 95 per cento. A livello mondiale ci sono quattro raccolti che continuano a mostrare dati di massimo utilizzo di biotech: la soia (51 per cento), il grano (31 per cento), il cotone (13 per cento) e la canola (5 per cento). Nel 2008 le vendite globali delle sementi con DNA modificato sono state di 7.5 miliardi di dollari.
Una crescita che può allargarsi anche all'Europa, specialmente dopo le decisioni sulla patata transgenica "Amflora" e sulla commercializzazione di alcuni tipi di mais Ogm.
Davanti a questi dati, pertanto, occorre sviluppare il massimo impegno per impedire che gli Ogm finiscano nei nostri piatti. L'agricoltura italiana -hanno ripetuto i presidenti della Cia e dei Vas- non ha alcun bisogno degli Ogm. Chi dice il contrario lo fa solo perché ha altri fini che non sono di sicuro quelli della difesa delle coltivazioni e degli allevamenti nazionali e dei redditi degli agricoltori. Per sostenere le imprese ci sono ben altri strumenti (semplicemente di carattere economico) che da tempo sono stati posti all'attenzione del governo.
La ferma contrarietà agli Ogm nasce dalla consapevolezza che la loro utilizzazione può annullare il modello di agricoltura italiana. Annullare, dunque, l'unico vantaggio competitivo dei suoi prodotti sui mercati: quello della biodiversità. Alla scienza si chiede di continuare a contribuire alla crescita di questo tipo di agricoltura. E ciò lo si può fare senza ricorrere agli organismi geneticamente modificati, come, del resto, è avvenuto fino ad oggi con risultati eccezionali.
Si deve, invece, puntare sempre più sulla qualità e la tipicità dell'agricoltura italiana, forte perché attinge la sua linfa vitale da un patrimonio di esperienze e di sapienze antiche che ha permesso ai prodotti delle nostre campagne di diventare simbolo del "made in Italy" a livello internazionale. Va detto, quindi, un fermo "no" agli Ogm che non servono al mondo agricolo italiano.
Colture proteiche in Italia
- 864.000 ettari da cui si producono: 1.050.000 tonnellate di erba medica, 553.000 tonnellate di soia (160 mila ettari), 56.000 tonnellate di pisello proteico e favino (15 mila ettari).
Import di soia e mais (in tonnellate)
Prodotti
2009
Principali provenienze
Semi, farina e
pannelli di soia
3.754.043
Brasile, Argentina, Usa, Canada, Slovenia, India
Mais
2.125.744
Ungheria, Austria, Francia, Croazia, Germania, Slovenia
- L'Italia importa il 10,4 per cento del mais utilizzato per l'alimentazione animale; l'80 per cento proviene da paesi che garantiscono prodotti Ogm-free. Il resto è transgenico.
- Un quarto della produzione di semi, farine e pannelli di soia, utilizzata per i mangimi, proviene dall'estero (4 milioni di tonnellate) e per il 90 per cento è Ogm
- Semi: 65% dal Brasile, 7,3% dagli Usa; 5,5% dall'Argentina.
- Farine e pannelli: 44,3% dall'Argentina; 6,9% dal Brasile; 5,8 % dagli Usa