13 Settembre 2007
Prezzi: rincari e speculazioni su pasta, pane, latte, frutta e verdura. Dal campo alla tavola aumenti "gonfiati" anche di venti volte
La Cia, in occasione dello "sciopero della spesa", organizzato dalle associazioni dei consumatori, sottolinea che l'incidenza della parte agricola sul prezzo finale non può assolutamente determinare le impennate vistose che si riscontrano in questi giorni. Alla produzione si registra, in media, un calo dei listini del 2,8 per cento.
I rincari dei prodotti agroalimentari, a cominciare da pasta, pane, latte e ortofrutta, non sono causati dell' agricoltura, ma da una filiera troppo lunga e complessa che genera aumenti, spesso ingiustificati, e speculazioni. A sottolinearlo è la Cia-Confederazione italiana agricoltori che nel giorno dello "sciopero della spesa" proclamato dalle associazioni dei consumatori, di cui condivide le motivazioni, ribadisce che prezzi agricoli all'origine in un anno (agosto 2006-agosto 2007) sono diminuiti in media del 2,8 per cento, con cali record per frutta (meno 15,2 per cento), ortaggi (meno 11,5 per cento), suini (meno 10,8 per cento) e bovini (meno 8,0 per cento), mentre al consumo l'incremento è stato pari (sempre rispetto allo scorso anno) del 2,6 per cento.
Per la Cia, quindi, il caro-prezzi alimentare è totalmente ingiustificato. Siamo in presenza di manovre artificiose, visto anche che dai campi alle tavole si registrano aumenti anche di venti volte, soprattutto nel settore dell'ortofrutta dove assistiamo a impennate che non hanno alcuna motivazione, se non quella della speculazione. In media su un prodotto ortofrutticolo l'incidenza della fase produttiva, cioè il prezzo praticato dal produttore, è tra il 18 e il 20 per cento. Un aspetto che diventa più appariscente nelle regioni del Mezzogiorno, dove per alcuni prodotti tipici, come uva da tavola, arance e limoni, l'agricoltore ricava appena un quinto del valore finale.
Insomma, nel settore ortofrutticolo il sistema di filiera è lungo e complicato. Nell'ipotesi più ottimale, abbiamo il passaggio dal produttore, alla cooperativa o all'organizzazione dei produttori, alla grande distribuzione. Nell'ipotesi che si può definire "normale" il percorso è dal produttore, all'intermediario, al grossista, al mercato, al dettaglio. Cinque, sei passaggi che evidenziano l'inefficienza del sistema.
Il discorso per i derivati dai cereali (pane e pasta in testa) non cambia di molto. La Cia ricorda che l'aumento dal grano non può determinare le impennate vistose al consumo che si registrano in questi giorni. A ciò si deve aggiungere che oggi il grano duro in Italia ha una quotazione di 26 euro al quintale, praticamente la stessa cifra del 1985, quando era pari a 50 mila lire (25,8 euro).
Di conseguenza, sui prezzi finali di pasta e pane l'incidenza agricola è, rispettivamente, del 10 per cento e del 13 per cento.
Un altro esempio emblematico è quello del latte: alla stalla un litro costa 0,34 euro, mentre al consumo arriva ad 1,40 euro. Il che significa che la parte agricola, dove i costi continuano a crescere in maniera evidente, incide poco più del 20 per cento sul prezzo finale.
La fase di produzione, è, pertanto, quella più penalizzata. L'andamento dei prezzi all'origine degli ultimi anni lo dimostra chiaramente. Si è andata sempre più allargando la "forbice" tra i listini sui campi e quelli al dettaglio. Insomma, a pagare non sono solo i consumatori, alle prese con listini da capogiro, ma anche i produttori agricoli che vedono scendere i loro redditi (l'anno scorso sono calati del 3,4 per cento).