Inflazione: Cia Trentino, perchè l'aumento dei prezzi non paga le aziende
Focus sul settore del latte nell'editoriale del presidente Calovi
Alla presentazione alle associazioni professionali e sindacali della manovra di bilancio della giunta provinciale è emerso chiaramente che ci troviamo in una situazione molto delicata e in un contesto difficile e complicato. I costi di materiali ed energia, l’aumento dei tassi e il nuovo balzo dell’inflazione stanno spingendo sempre più in basso i consumi. Di conseguenza i rincari dovuti ai maggiori costi di produzione, affiancati alla minor capacità di spesa delle famiglie, creano non pochi pensieri.
Secondo l’elaborazione dei dati Istat del Centro Studi Cia-Agricoltori Italiani riferibili ai prezzi al consumo dei beni alimentari, si desume da gennaio un aumento della spesa media per ogni famiglia di +384 €. Da inizio anno, dunque, gli italiani hanno speso 9,7 miliardi in più per il “carrello della spesa alimentare”, un aumento complessivo di prodotti agricoli, cibi e bevande analcooliche pari circa all’13,1%. Ma è anche allarme deflazione per gli agricoltori, che si vedono riconosciuti prezzi troppo bassi rispetto ai forti aumenti dei costi di produzione. Serve agire il prima possibile ma nello stesso tempo è necessario muoversi con molta prudenza. Ogni azione deve essere ben valutata perché ne influenza altre rischiando di creare problemi maggiori.
Il presidente di Cia-Agricoltori Italiani del Trentino Paolo Calovi, con l’intento di contestualizzare la situazione attuale e spiegare al consumatore perché le aziende sono in affanno nonostante l’aumento dei prezzi dei prodotti, porta in evidenza cosa sta succedendo, ad esempio, nel settore del latte.
Nell'editoriale il presidente Calovi sottolinea: “Questa situazione è in parte dovuta alla riduzione delle mandrie, causata vuoi dall’aumento del costo delle materie prime, vuoi dalla necessità di molte stalle di ridurre il numero di capi per rientrare nei nuovi parametri previsti dall’applicazione in Europa delle recenti disposizioni ambientali.
Tutto ciò ha provocato un calo di disponibilità di latte che confluiva nella Comunità Europea; ad esempio la Germania è passata da essere esportatrice ad dover importare per fare fronte al proprio fabbisogno. Il notevole aumento della domanda di latte alimentare ha fatto perciò alzare i prezzi.
Non tutte le stalle però producono questo tipo di latte. Molte, soprattutto quelle montane, si sono specializzate in produzione di latte da caseificazione. Il nostro contesto locale, con protocolli di produzione obbligatori ben precisi, ha permesso la produzione di eccellenze come Trentingrana, Puzzone, Vezzena e altri prodotti tipici, richiedendo però al produttore di assumere un’alimentazione del bestiame più onerosa e di avere rese inferiori di latte a favore della qualità.
Mentre il latte alimentare ha un mercato molto attivo, quello caseario è in piena crisi, non solo nelle stalle, ma anche nei caseifici. Chi fa latte da caseificazione ne produce ora sempre meno perché ha sempre meno risorse, essendosi incrementati notevolmente i costi fissi che hanno reso il prodotto ancora meno redditizio, in una spirale che sembra inarrestabile.
Aumenta la tensione negli allevamenti, che dopo aver attuato tutte le misure necessarie, non possono fare altro che ridurre i capi, finché ce la fanno. L’alternativa di convertire una stalla da latte per la caseificazione ad alimentare infatti è tutt’altro che semplice e veloce.
Oltre all’eventualità di perdere molte aziende, rischiamo di innescare una catena per cui, tra qualche tempo, non saranno più disponibili quei formaggi che ora diamo per scontati, e, cosa forse più grave, potremmo perdere per strada persino qualche caseificio, smarrendo punti vitali di presidio del territorio.
Il pericolo è che nelle aree più delicate, come quelle montane, le aziende (e non ci riferiamo solo quelle agricole) si diradino fino alla loro scomparsa.
Quanto sta accadendo nel latte rischia di estendersi, purtroppo, anche in altri settori con risultati simili. Potrebbe essere che la revisione del P.a.n. (Piano di azione nazionale) avvii un percorso simile? Il New Green Deal, che regola l’uso dei fitofarmaci in agricoltura e che punta ad una seria riduzione di principi e formulati senza dare alternative migliori, è però chiaro: la direzione comunitaria è quella e per ora non c’è nessun tentennamento.
Forse bisognerebbe tenere ben presente la situazione attuale perché rischiamo, soprattutto in agricoltura, che la cura (che avevamo avviato in altri tempi) sia peggio del male.
Servono azioni concrete immediate e pragmatiche che aiutino gli imprenditori e le famiglie a superare questo momento. Per questo Cia è attiva sia localmente, che a livello nazionale e a Bruxelles, per dare il nostro contribuito e supporto affinché si trovi una soluzione. Non abbiamo più molto tempo, bisogna agire subito e nel frattempo 'io speriamo che me la cavo'”.