Grano duro: Cia Puglia, regione danneggiata da chi delegittima la CUN
Da quando il ministro Lollobrigida ha annunciato l’istituzione definitiva della CUN Commissione Unica Nazionale sul prezzo del grano a gennaio 2026, Italmopa (associazione che rappresenta la parte industriale della filiera del grano) non si è più presentata alle riunioni dell’organismo. “Accade da un mese -spiega Gennaro Sicolo, vicepresidente nazionale e presidente regionale di Cia-Agricoltori Italiani-. Il tentativo di delegittimare uno strumento istituito per definire e stabilizzare il prezzo tra il mondo agricolo e quello industriale, superando le fluttuazioni delle borse merci locali, e immettendo nel sistema elementi di equità e trasparenza per garantire ai produttori una remunerazione più giusta e parametrata sui costi di produzione, non è soltanto miope poiché alla lunga sarà anche autolesionistico”. La situazione del mercato del grano duro, infatti, continua a essere drammatica per i cerealicoltori. Le Borse Merci di Bari e di Foggia, nelle ultime due sedute della Commissione cereali, hanno quotato il grano duro fino a 286-292 euro alla tonnellata e il buono mercantile attorno ai 280 euro, ben al di sotto dei costi di produzione che ISMEA ha valutato in 318 euro alla tonnellata.
LA PASTA È VERAMENTE MADE IN ITALY? Nei primi 7 mesi del 2025, secondo il più recente report di Anacer (Associazione Nazionale Cerealisti), le importazioni di grano duro dall’estero sono cresciute del 7,32% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In Italia è arrivata dagli altri paesi una montagna di grano duro: 1.665.000 tonnellate. Attualmente, il 54,8% del grano duro utilizzato in Italia è prodotto dai cerealicoltori italiani; la parte restante è importata dall’estero. “Noi non contestiamo la legittimità di importare una parte del grano duro che occorre all’industria della pasta”, afferma Angelo Miano, presidente di Cia Capitanata, “ma di questo passo, con la produzione italiana in perdita, se ogni tentativo di riportare equità lungo la filiera viene sabotato per avvantaggiare solo la parte industriale, tra pochi anni il grano importato costituirà la quota maggioritaria, la dipendenza dall’estero aumenterà e il nostro Paese perderà redditività e posti di lavoro. In uno scenario simile, sempre più prossimo ad avverarsi, si potrà ancora definire la pasta prodotta con chissà quali grani come realmente italiana? Un tempo Foggia era il granaio d’Italia”, aggiunge Miano, “ma in queste condizioni scegliere di continuare a coltivare grano diventa quasi proibitivo, tanto che le superfici si stanno riducendo di anno in anno”.
UN PATRIMONIO A RISCHIO. “Nell’area metropolitana di Bari e nella BAT -aggiunge Giuseppe De Noia, presidente di Cia Levante Bari-Bat-, la coltura del grano duro è importantissima, è legata a tradizione e innovazione, alimenta una filiera di aziende cerealicole che hanno sempre prodotto qualità, reddito, lavoro. C’è una civiltà e una cultura del grano che da noi sono millenarie. La mancata redditività degli ultimi anni sta mettendo a grave rischio tutto questo patrimonio ed è inaccettabile”.
LA BATTAGLIA DELLA CIA. Lo scorso 1° ottobre, Cia Puglia si è attivata per denunciare all’Istituto per il Controllo della qualità e la repressione delle Frodi (ICQRF) del Ministero dell’Agricoltura le pratiche sleali che stanno determinando l’abbassamento del prezzo del grano italiano al produttore al di sotto dei costi di produzione rilevati da Ismea. Dal 2022, mentre il prezzo al produttore del grano duro italiano è diminuito del 44%, il prezzo della pasta è aumentato in media del 23% con punte più alte e quello del pane di oltre il 30%. Cia-Agricoltori Italiani ha lottato a lungo per l’attivazione del registro telematico e la piena attuazione delle misure di Granaio Italia, ha promosso una petizione nazionale che ha raccolto circa 100mila firme a sostegno di azioni che tutelino i cerealicoltori italiani e i consumatori. In Puglia, hanno aderito a quella campagna 50 “comuni del grano” che rappresentano 1.440.000 cittadini. “Per stanare chi fa solo i propri interessi di parte e tutelare l’immenso patrimonio della nostra cerealicoltura”, conclude Sicolo, “invitiamo i consumatori a chiedere e consumare soltanto la pasta realizzata al 100% con grano italiano. Chiediamo la tracciabilità e la trasparenza totale sul grano utilizzato per produrre pasta e pane. Importare una parte del grano necessario è una cosa, sostituire progressivamente il grano italiano con quello estero è una follia, un danno all’economia, alla sovranità alimentare, alla storia e alla cultura del nostro Paese”.