Cia Veneto: stop a coltivazione canapa per decreto, in crisi un centinaio di produttori
Stop alla coltivazione di canapa per decreto, Cia Veneto si appella all’assessore regionale all’agricoltura, Federico Caner, affinché promuova subito un confronto tra Governo e Regioni.
Lo scorso 4 aprile il Consiglio dei Ministri ha adottato il Dl Sicurezza, ora in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: segna una netta inversione di rotta in merito alla coltivazione e alla commercializzazione del fiore di canapa industriale; le nuove norme mirano a limitare fortemente l'uso delle infiorescenze, anche nei casi in cui derivino da varietà legali e basso contenuto di THC.
“Nella nostra Regione -sottolinea il presidente di Cia Veneto, Gianmichele Passarini, in una missiva indirizzata a Caner - sono un centinaio gli agricoltori, in larga parte giovani, che coltivano canapa da fiore a basso livello di THC; a motivo di tale provvedimento rischiano di dover chiudere la propria attività con conseguenti pesanti ricadute sociali, ambientali e di presidio del territorio. Chiediamo l’urgente avvio di un confronto con l’esecutivo centrale perché si favorisca un percorso partecipato e condiviso, pure con gli operatori del settore”.
Secondo una stima di Cia Veneto, la filiera vale oltre 30 milioni all’anno a livello regionale. “Un comparto di nicchia -aggiunge Passarini- ma dalle enormi potenzialità ancora in parte inesplorate”. Pesantissime le ricadute su filiere agroindustriali di eccellenza come, ad esempio, la cosmesi, gli integratori alimentari e l’erboristeria, che “naturalmente nulla hanno a che spartire con sostanze stupefacenti illegali”.
“I produttori hanno sempre rispettato le regole che informano tale specifica coltivazione. Nonostante un’oggettiva situazione di difficoltà e carenze legislative, ha, o meglio aveva, avvicinato diversi under 40, dando spazio a nuove figure professionali, innovative e altamente specializzate”, aggiunge. Nell’ultimo decennio diverse aziende, alla luce dei riscontri più che positivi del mercato estero (viene esportato il 60% del prodotto), hanno investito centinaia di migliaia di euro su nuovi macchinari. Ora, però, tali attrezzature di fatto diventeranno inutilizzabili. “Questi imprenditori saranno costretti loro malgrado a ripartire da zero a causa di una legge che impedisce loro di lavorare, pur se nel pieno rispetto dei protocolli -conclude Passarini-. L’obiettivo comune rimane la valorizzazione di un prodotto che è alla base di filiere di eccellenza del Made in Italy agroindustriale”.