Cia Grosseto: senza fondi nazionali le piccole imprese rischiano la chiusura
In un momento storico complesso, il mondo agricolo è chiamato a fronteggiare sfide interconnesse che mettono a rischio la sua sostenibilità economica e produttiva. Lo scenario attuale si presenta come una tempesta perfetta, in cui costi di produzione in crescita esponenziale, una burocrazia sempre più soffocante, concorrenza sleale e un clima imprevedibile stanno erodendo la capacità di resistenza degli agricoltori. Come sottolineato dal presidente di Cia Grosseto, Claudio Capecchi, a margine dell’assemblea regionale di Cia-Agricoltori Italiani Toscana: "Le imprese agricole oggi sono schiacciate sotto il peso di un sistema che non le sostiene a sufficienza, mentre l'erosione delle risorse rende ancora più difficile garantire la marginalità necessaria per una gestione sostenibile delle aziende".
Una delle questioni centrali che emergono con forza riguarda proprio la progressiva riduzione delle risorse economiche destinate al comparto agricolo. Negli ultimi vent'anni, si è assistito a un calo costante dei fondi nazionali a supporto del settore. "Se un tempo le risorse si dividevano quasi equamente tra i fondi europei derivanti dalla Pac e quelli interni stanziati dal Ministero e dalle Regioni, oggi la situazione è drammaticamente cambiata. Le risorse nazionali, al di fuori del Psr e degli sgravi fiscali per il settore, si sono ridotte in modo significativo, costringendo le imprese agricole a dipendere quasi esclusivamente dai fondi comunitari," ha sottolineato Capecchi.
Questo spostamento delle risorse crea difficoltà enormi, soprattutto per quelle piccole e medie imprese che non riescono a fare fronte agli alti costi operativi. Settori strategici come l’ortofrutticolo, il cerealicolo, la zootecnia, l’olivicoltura e il comparto lattiero-caseario sono sotto pressione, con margini di profitto sempre più ridotti. "Laddove è possibile gestire internamente la manodopera, si riesce a ricavare un piccolo margine di profitto, ma senza questo elemento fondamentale molte aziende rischiano di chiudere. Il nostro settore, che è strategico non solo per l’economia ma anche per la tenuta sociale e ambientale del Paese, è in crisi profonda."
Oltre ai problemi interni, il quadro internazionale contribuisce ulteriormente a complicare la situazione. Le tensioni geopolitiche, i cambiamenti climatici e le migrazioni globali mettono sotto pressione i bilanci statali, rendendo difficile stanziare nuove risorse per il settore agricolo. Tuttavia, Capecchi ha ribadito l’importanza di riconsiderare il ruolo dell’agricoltura: "È fondamentale che le politiche interne italiane ritornino a considerare l’agricoltura come un settore strategico, con risorse adeguate e interventi mirati. Non possiamo più permetterci di trascurare un comparto che rappresenta la spina dorsale del nostro sistema economico e sociale."
Per garantire un futuro all’agricoltura italiana, è necessario ripensare l’allocazione delle risorse e mirare a rafforzare la marginalità delle imprese agricole attraverso l'innovazione tecnologica e pratiche sostenibili che ne garantiscano la competitività nel lungo termine. L'agricoltura non deve più essere vista esclusivamente come un comparto economico, ma come una risorsa strategica per il territorio, l'ambiente e la sicurezza alimentare del Paese. "Solo una gestione attenta e strategica delle risorse, sia a livello europeo che nazionale, può permetterci di salvaguardare il futuro delle nostre produzioni locali e delle imprese agricole."
È qui che entra in gioco la figura dell'Imprenditore Agricolo Professionale (IAP), una figura regolamentata che, per essere riconosciuta, deve dimostrare che almeno il 25% del proprio tempo di lavoro e del proprio reddito proviene dall'attività agricola. Tuttavia, questo parametro rischia di non garantire che chi riceve tali fondi sia davvero impegnato a tempo pieno nell'agricoltura. "La figura dell’IAP, così come è definita attualmente, richiede una revisione profonda -continua Capecchi-. Se chi si qualifica come IAP deve solo dimostrare che il 25% del suo tempo e reddito è legato all’agricoltura, ci troviamo di fronte a un paradosso: le risorse potrebbero essere destinate a chi non è realmente impegnato a pieno titolo nel lavoro agricolo."
Il futuro dell’agricoltura italiana dipenderà dalla capacità di attuare riforme che restituiscano centralità all’agricoltura come motore economico e sociale del Paese, oltre che dalla capacità di sostenere gli imprenditori agricoli nel loro difficile lavoro quotidiano. "Se non si interviene subito -conclude Capecchi- rischiamo di perdere non solo un settore produttivo cruciale, ma anche un patrimonio di competenze, tradizioni e cultura che caratterizza l’Italia e il suo paesaggio rurale".