08 Ottobre 2021 | None

Ancora in rialzo l'indice prezzi dei prodotti alimentari (settembre a +1,2%)

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Nonostante le cifre record, la produzione mondiale dei cereali non terrà il passo dei consumi. Dati Fao

I prezzi delle derrate alimentari sono aumentati in tutto il mondo a settembre sotto la spinta di condizioni di offerta più restrittive e di una vivace domanda di prodotti di base come il grano e l'olio di palma. A darne notizia è l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao). 

A settembre, infatti, l'Indice Fao dei prezzi dei prodotti alimentari ha fatto segnare una media di 130,0 punti, che equivale a un aumento dell'1,2% rispetto ad agosto e del 32,8% rispetto a settembre 2020. L'indice rileva le variazioni mensili dei prezzi internazionali dei generi alimentari comunemente oggetto di scambio. 

Nel corso del mese l'Indice Fao dei prezzi dei cereali ha guadagnato 2 punti percentuali rispetto ad agosto, sospinto verso l'alto in particolare dai prezzi internazionali del grano, che sono aumentati quasi del 4% (un incremento del 41 percento rispetto all'anno precedente), a causa di una contrazione delle disponibilità di esportazione in un contesto di domanda in crescita. Sempre a settembre si sono alzati anche i prezzi mondiali del riso, mentre il mais ha fatto segnare un moderato incremento dello 0,3% (equivalente a un aumento medio del 38 percento su base annua), in uno scenario in cui un miglioramento delle previsioni dei raccolti su scala globale e l'inizio della stagione di raccolta negli Stati Uniti d'America e in Ucraina hanno in gran parte controbilanciato i danni causati alle infrastrutture portuali americane dall'uragano Nicholas. 

“Tra tutti i principali cereali -ha dichiarato Abdolreza Abbassian, Economista principale della Fao- sarà il grano a essere al centro dell'attenzione nelle prossime settimane, quando la domanda sarà messa alla prova dal rapido rincaro dei prezzi".

L'Indice Fao dei prezzi degli oli vegetali ha subito anch'esso un rialzo nell'arco del mese (+1,7%, pari a circa il 60% in più rispetto al settembre 2020), con i prezzi internazionali dell'olio di palma che hanno fatto segnare il valore più alto degli ultimi 10 anni, a causa di una vigorosa crescita della domanda di importazione a livello globale e dei timori legati alla carenza di manodopera di lavoratori migranti, che si ripercuote negativamente sulla produzione in Malaysia. In netto rialzo anche i prezzi mondiali dell'olio di colza, mentre le quotazioni degli oli di soia e girasole hanno evidenziato una curva discendente. In rialzo risulta, inoltre, l'Indice Fao dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari, che è salito dell'1,5% da agosto a fronte di una solida domanda di importazioni a livello globale nonché di una serie di fattori stagionali in Europa e Oceania che hanno determinato rincari delle quotazioni mondiali per tutti questi prodotti, a partire dal burro. 

Più modesto rispetto ad agosto si è rivelato, invece, l'incremento dell'Indice Fao dei prezzi dello zucchero (+0,5%), che comunque risulta superiore del 53,5 percento rispetto allo scorso anno, in seguito alle cattive condizioni meteorologiche e all'aumento dei prezzi dell'etanolo in Brasile, che è il principale esportatore di zucchero al mondo. A frenare la tendenza al rialzo sono stati un rallentamento della domanda di importazione a livello internazionale e buone prospettive di produzione in India e Thailandia. 

Sostanzialmente invariato a settembre rispetto al mese precedente è rimasto, al contrario, l'Indice Fao dei prezzi della carne, che comunque ha fatto registrare un aumento del 26,3% su base annua. Segno più anche per i prezzi della carne ovina e bovina, riconducibili a restrizioni nelle condizioni di offerta, mentre le quotazioni di carne suina e pollame sono apparse in flessione, grazie alla disponibilità di un'ampia offerta di carne di pollame su scala mondiale e a una contrazione della domanda di carne suina in Cina ed Europa. 

Produzione di cereali nel 2021 ancora inferiore al fabbisogno di consumo, nonostante le cifre record. Nel 2021 la produzione di cereali a livello mondiale sembra destinata a raggiungere il primato assoluto di 2 800 milioni di tonnellate, che tuttavia è inferiore rispetto al fabbisogno di consumo anticipato per la campagna di commercializzazione 2021/22. È quanto emerge dalle nuove previsioni contenute nell'ultimo Bollettino sulla domanda e l'offerta dei cereali della Fao, pubblicato anch'esso in data odierna. Nel 2021 saranno raccolti 776,7 milioni di tonnellate di grano, con rese più abbondanti previste nell'Europa orientale e in Australia che andranno a compensare i cali di produzione attesi in Canada e Federazione Russa a causa delle condizioni atmosferiche avverse e dei cambiamenti concernenti i terreni seminativi.

La previsione relativa alla produzione mondiale di cereali secondari è attualmente fissata a 1 504 milioni di tonnellate, con un più rapido incremento della raccolta di sorgo e orzo su scala globale rispetto al mais. Si prevede una produzione mondiale di riso pari a 50 milioni di tonnellate, una cifra che rappresenta un nuovo primato e che scaturisce, in particolare, da stime più ottimistiche riguardanti la principale coltura dell'India. Al tempo stesso, le previsioni sull'utilizzo di cereali a livello mondiale nel 2021/22 parlano attualmente di un rialzo dell'1,8% rispetto alla precedente stagione (pari a un volume di 2 811 milioni di tonnellate), trainato da un prevedibile significativo incremento dell'uso del grano per l'alimentazione animale, una tendenza che in parte si può spiegare con l'aumento dei prezzi dei cereali secondari. Di conseguenza, il rapporto mondiale tra riserve e utilizzo di cereali per il 2021/22 dovrebbe attestarsi al 28,4 percento, in flessione rispetto al 29,2 percento dell'anno precedente, rimanendo comunque a un livello relativamente favorevole. Il Bollettino sulla domanda e l'offerta dei cereali contiene anche l'ultima previsione della Fao relativa agli scambi commerciali di cereali a livello mondiale nel 2021/22, che mette in evidenza una contrazione annua dello 0,3%, equivalente a 473,2 milioni di tonnellate, dovuta perlopiù a una presunta riduzione dei volumi di scambio di orzo e mais.