27 Ottobre 2003

Posizione ufficio previdenza INAC sull' emendamento che riforma le pensioni

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Mentre cresce la polemica sulla riforma delle pensioni, fortemente contestata dalle parti sociali, il 27 ottobre scorso il Governo ha presentato al Senato un maxi emendamento alla cosiddetta "legge delega"giacente in parlamentoda circa due anni, ma che, sulla base di quanto affermato dal ministro del Welfare Maroni, verrà probabilmente approvata entro la fine dell'anno.
La necessità della riforma sembra trovare fondamento nella insostenibilità finanziaria del nostro sistema pensionistico. Un sistema a ripartizione non sostenuto da un adeguato apporto contributivo, in quanto, a causa del forte squilibro tra lavoratori e pensionati, i contributi degli attivi non sono più sufficienti a finanziare le pensioni in essere. C'è da chiedersi se la decisione del Governo di ridurre fino a 5 punti percentuali gli oneri contributivi per i nuovi assunti, pur se finalizzata ad un incremento dell'occupazione, possa rispondere a criteri di saggezza, tenuto conto che sottrae preziosi fondi agli enti previdenziali.

Il piatto forte della riforma è rappresentato, com'è noto, dalle pensioni di anzianità. Cioè quel tipo di pensione conseguibile prima dei 65 anni per gli uomini e dei 60 per le donne. Ebbene questo tipo di prestazione è stata, anche se non formalmente ma, nei fatti, abolita. Dal 2008, infatti, la pensione di anzianità potrà ottenersi solo in presenza di una anzianità contributiva non inferiore ai 40 anni. Ciò significa che poter ottenere questa prestazione a 60 anni (quindi una prerogativa solo maschile) bisogna essere tanto fortunati da trovare lavoro, che sia senza interruzioni, a 20 anni. Ma i presupposti della riforma Biagi resa operante dal decreto legislativo 276 del settembre scorso, non vanno certo in tale direzione. Infatti le nuove forme di lavoro (ripartito, a part-time, a chiamata, a progetto ecc.) sono principalmente basate sulla precarietà. Né sarà possibile far conto, sulla contribuzione "figurativa" relativa al periodo di inattività in cui si percepisce l'indennità di disoccupazione, in quanto questa non ha alcuna rilevanza ai fini del raggiungimento dei 40 anni di contributi per la pensione di anzianità. Chi deciderà poi di frequentare l'università non avrà alcuna possibilità.
Ma vediamo nel dettaglio cosa prevede la norma , ancora in esame al Parlamento e quindi suscettibile di modifiche.
Come già accennato l'innalzamento del minimo contributivo partirà dal 1 gennaio 2008. Per i lavoratori che entro il 31.12.2007 abbiano compiuto i requisiti richiesti dalla riforma Dini, 35 anni di contribuzione e 57 anni di età, viene cristallizzato il diritto attraverso una certificazione dell'ente di appartenenza. Grazie a tale certificazione il lavoratore può liberamente esercitare il diritto in qualunque momento successivo alla data di maturazione dei predetti requisiti, indipendentemente da una modifica legislativa più restrittiva. Lo stesso dicasi per coloro che sono destinatari del sistema interamente contributivo
Fino al 2015, e in via sperimentale, sarà comunque possibile andare in pensione di anzianità con i requisiti richiesti dalla previgente normativa, 35 anni di contribuzione e 57 anni di età per i lavoratori dipendenti, 58 anni per gli autonomi, ma in questo caso il trattamento sarà calcolato con il sistema interamente contributivo, quindi con grave abbattimento dell'importo pensionistico.
La riforma interviene anche sui lavoratori la cui pensione è liquidata esclusivamente con il sistema contributivo (gli assunti dal 01.01.96) i quali, sulla base della riforma Dini, potevano conseguire la pensione a una età compresa tra i 57 anni ed i 65, senza distinzione di sessi. Dal 2008 l'età minima di pensionamento viene elevata a 60 anni per le donne ed a 65 per gli uomini. L'aumento dell'età comporterà inevitabilmente la revisione dei coefficienti di calcolo della pensione. Anche questi lavoratori avranno comunque la possibilità di lasciare il lavoro a qualsiasi età una volta raggiunto il tetto massimo dei 40 anni di contribuzione.

Bonus per chi rinvia il pensionamento di anzianità
Il bonus si presenta molto più conveniente rispetto a quello previsto dalla finanziaria del 2001. Nel periodo 2004-2007, i lavoratori dipendenti del solo settore privato, che hanno maturato o maturano i requisiti per la pensione di anzianità previa certificazione rilasciata dall'ente, possono rinunciare all'accredito contributivo relativo all'IVS. La corrispondente contribuzione pari al 32,7% verrà interamente corrisposta al lavoratore e sarà esente da imposte. Stando a quanto previsto dal testo l'incentivo parte solo per i dipendenti del settore privato: I dipendenti pubblici potranno ottenerlo in un secondo momento dopo che il governo avrà verificato insieme ai sindacati, alle regioni ed agli altri enti locali la possibilità di estensione nei diversi settori. Naturalmente la pensione sarà calcolata fino al momento in cui si è effettuata la rinuncia al versamento dei contributi fatta comunque salva la rivalutazione al costo della vita per il periodo di posticipo del pensionamento.
Chi chiede l'incentivo ed ha intenzione di continuare a lavorare dopo il ritiro dovrà valutare bene le attuali regole in materia di cumulo che prevedono l'intera cumulabilità in presenza di 58 anni di età e 35 di contribuzione. In caso contrario il lavoratore non potrà rioccuparsi come dipendente e se svolgerà un'attività autonoma sarà soggetto alla trattenuta del 30% del reddito da lavoro o se più favorevole al 30% della quota eccedente il trattamento minimo.
Ribadiamo ancora una volta che si tratta solo di proposte e che allo stato attuale non vi è nulla di certo.