12 Luglio 2019

Fave nette e cicorie

Condividi

Dalla tradizione contadina pugliese

Ingredienti

Fave bianche di Zollino “Kuccia” (prodotto agroalimentare tradizionale)
Cicoria otrantina (prodotto agroalimentare tradizionale)
Patata
Sedano
Carota
Cipolla bianca
Olio d’oliva extravergine (Cellina di Nardò)
Aglio
Pomodorino leccese (prodotto agroalimentare tradizionale)
Aglio
Pepe
Peperoncino
Sale
Pane raffermo

Preparazione

Mettere ad ammollo le fave per dodici ore, poi pulirle liberandole dalla buccia, metterle in una pentola ben coperte di acqua aggiungendo una carota intera (da togliere a metà cottura), un pezzo di sedano intero (da togliere a metà cottura), un po’ di cipolla e una patata e far cuocere a fuoco moderato, avendo cura di eliminare la schiuma che emergerà al primo bollore.
Generalmente servirà un’ora di cottura, salare negli ultimi 10 minuti e con un cucchiaio girare per formare una purea omogenea. In una pentola lessare le cicorie in abbondante
acqua bollente salata a pentola scoperta. Nel frattempo, in una casseruola far soffriggere nell’olio d’oliva: l’aglio tagliato in 2 pezzi (da togliere quando sarà dorato) unitamente a qualche pomodorino (privi di semi) alla carota e il sedano tagliati finemente e appena le cicorie saranno pronte versarle nella casseruola mescolando bene, regolare di sale, pepe e a fuoco moderato ed aggiungere un po’ di acqua di cottura delle cicorie. In un’altra pentola aggiungere un filo d’olio di oliva per friggere il pane raffermo.

Come racconta l'Agrichef Cia Adelaide Gerardi dell'Agriturismo Salento D’Arare (Via Romolo Gessi - Marina Serra Tricase, LE) che ha portato il piatto alla Finale nazionale di Agrichef Festival dello scorso maggio ad Amatrice, il piatto fave nette e cicorie è tipico della tradizione contadina pugliese, una ricetta antichissima fatta di ingredienti poveri e genuini che regala gusto ed energia. In un territorio arso dal sole, povero da sempre di fonti d’acqua e con lunghi periodi di siccità, le fave venivano seminate per azotare i campi alternando le produzioni di grano che, sino al ‘900, rappresentavano merce preziosa per i signori. Ai contadini ed ai pastori non restavano che gli avanzi, di fatto le fave non erano richieste dai signori come pagamento del fitto, così diventavano il loro alimento quotidiano principale.

Un piatto simbolo della mia terra -spiega Adelaide- prende nomi diversi nel tacco d’Italia, per esempio nel barese viene chiamato “ ncaprita” e detto alla leccese “ Fave e foie”.
Ho ricordi di giornate d’estate passate con mia nonna in campagna quando tutti noi bambini schiacciavamo le fave secche appoggiandole su un marmo e con una pietra si batteva sulla fava per eliminarne il cappotto (buccia) e raccogliere il prezioso frutto bianco. Nella cultura popolare pugliese sono diffusi proverbi e credenze legati alla fava: “Fai, cicuredde e mieru te ne vai a ncielu”. Con questo si voleva sottolineare l’elevato potere energetico di questo piatto ricco di proteine e povero di grassi, tanto che le donne cucinavano questo piatto per dare forza e vigore ai loro mariti per affrontare le lunghe giornate nei campi.